DA ROMA ALLA TERZA ROMA
XXXV SEMINARIO INTERNAZIONALE DI STUDI
STORICI
Campidoglio, 21-22 aprile 2015
Paolo Siniscalco
“Sapienza” Università di Roma
TERRE E POPOLI DA ROMA A COSTANTINOPOLI A MOSCA.
INTERVENTO INTRODUTTIVO 2015*
SOMMARIO: 1. Populus romanus. – 2. Gli imperatori e i cristiani nel III secolo. – 3 La
separazione tra competenza politica e competenza religiosa. – 4. Un nuovo
popolo: la comunità cristiana. – 5. La
distinzione tra regnum e
sacerdotium.
Secondo una tradizione
ormai consolidata, dopo l'intervento di Pierangelo Catalano, che, seguendo un
cammino giuridico, ha indicato alcune nozioni su terre e popoli, prediligendo
una visione di “lunga durata” che dalla leggenda di Enea e quindi dal suo
esilio troiano ci ha condotto fino Lijian e al trattato tra russi e cinesi
concluso a Nercinsk nel XVII secolo, vorrei aprire con questo mio breve
intervento, ad apertura del XXXV Seminario, una prospettiva di carattere
storico-religioso, soffermandomi su un punto che ritengo centrale nello
sviluppo di una storia che da sempre è al centro della nostra attenzione: lo
snodo costituito dai primi secoli, in particolare dal III e da IV secolo.
Si sa come
Cicerone abbia rigorosamente definito la nozione di populus, fondandola
sul iuris consensus e sulla communis communio che
tengono unita l'universalità dei cittadini. Si sa d'altra parte la capacità indiscussa di Roma di integrare nuovi
cittadini attraverso una articolazione flessibile del corpo civico che, tra
l'altro, trova espressione nel municipium;
ivi la cittadinanza da una parte rispetta la legge romana e
riconosce i doveri verso la res
publica nel dominio politico,
sociale, religioso, e dall'altra mantiene intera la propria identità.
Un'integrazione che si rafforza nel rapporto tra province e Italia e che sulla
soglia della nostra èra ha in Augusto un princeps che anche con la
promozione del bilinguismo contribuisce a colmare la distanza tra la parte
occidentale e la parte orientale dell'Impero. Sempre più, si impone l'idea che
Roma stia dando nascita a una “città” che comprende l’intera umanità, anche per
il sistema sovranazionale che ha concepito e realizzato, a cominciare dal suo
diritto da tutti osservato. Ed è significativo che a riconoscerlo siano
osservatori che stavano al di fuori dei suoi confini e della sua storia, come
Posidonio ispirato dalla visione filosofica dello stoicismo.
Come è
evidente il III e il IV secolo d.C. rappresentano per il discorso che sto abbozzando
un periodo di grande interesse. Fin dall'inizio del III secolo Caracalla
concede a tutti gli abitanti dell'Impero la cittadinanza romana, e - quale che
sia stato il motivo della sua decisione – essa rafforza ulteriormente
l'integrazione di nuovi cittadini. D'altra parte in quel periodo il movimento
cristiano comincia a fare valere una sua solida consistenza – si pensi agli
scritti di un Tertulliano o di un Clemente d'Alessandria o di un Origene o di
un Cipriano –, tanto da destare interesse nell'ambito della stessa corte
imperiale. Bastino pochi cenni. Marcia, la concubina dell'imperatore Commodo
(180-192), secondo Dione Cassio[1], mostra
simpatia verso gli ambienti cristiani. Consta che Severo Alessandro (222-240)
abbia trattato i cristiani con benevolenza, abbia riconosciuto a loro il
diritto di possedere. Secondo la testimonianza più tarda del pagano Elio
Lampridio[2], egli
avrebbe venerato oltre all'immagine di Orfeo, di Abramo, di Apollonio di Tiana,
anche quella di Cristo. Del resto, sua madre, Giulia Mamea è quella gran dama
che aveva fatto venire Origene ad Antiochia per meglio conoscere le dottrine
teologiche da lui professate. Con Filippo l'Arabo (244-249), così appellato
perché originario di una regione orientale della Giordania, secondo alcuni studiosi,
si avrebbe avuto il primo imperatore romano convertito al cristianesimo, che
pur mantiene una visione religiosa del tutto sincretistica. In ogni modo il suo
atteggiamento verso i fedeli di Cristo è positivo. E ancor più lo è quello di
Gallieno (260-268) che fa cessare la persecuzione voluta dal padre Valeriano,
permette che i responsabili delle chiese compiano liberamente il loro ministero
e concede che i luoghi di culto siano restituiti ai cristiani[3]; egli figura
essere il primo imperatore che emana un editto di tolleranza a loro proposito e
fa sì che essi vivano nella pace per circa 40 anni, fino alla grande
persecuzione dioclezianea.
L'insieme di
queste circostanze favorevoli permette alle chiese di consolidare la loro
presenza nell'Impero e fa nascere un nuovo assetto non solo religioso, ma anche
politico e civile nella società. Si fa sempre più manifesto il mondo cristiano
che per certi aspetti ha tratti comuni con quello romano e che per altri lo
rinnova in profondità, ponendo in crisi determinati suoi istituti e costumi.
L'annuncio evangelico ha carattere sovranazionale o, per meglio dire,
universale, rivolgendosi a tutti gli uomini, tanto da considerare allo stesso
modo eguali, non solo il greco o il barbaro, l'uomo o la donna, ma anche il
libero e lo schiavo, in quanto tutte creature dello stesso Padre celeste.
L'integrazione di popoli, quella capacità tutta romana di accogliere nuovi
cittadini entro il suo tessuto sociale, trova nel nuovo movimento religioso la
possibilità di costituire una comunità che tende ad essere di eguali.
Due eventi
nel IV secolo facilitano questo stato di cose: nel 313 la decisione di Licinio
e di Costantino di concedere la libertà ai cristiani – e a tutti – di scegliere
la religione che vogliono e nel 379 (secondo alcuni storici nel 367) la
rinuncia di Graziano al titolo e alla funzione di Pontefice Massimo della
religione romana. Come già altri imperatori prima di lui, Graziano professa
pubblicamente di appartenere alla Grande Chiesa e decide che la sua carica
pubblica di princeps supremo
della cosa pubblica non coincida più con la competenza religiosa fino ad allora
esercitata.
Qui avviene
la grande e definitiva frattura. Secondo la concezione romana tradizionale le
pratiche e i doveri religiosi non potevano essere separati dai doveri civili.
Volere sottrarsi al culto degli dèi protettori della res
publica e in speciale
modo al culto imperiale per un romano non era possibile. Per questo era naturale
che l'imperatore fosse anche Pontifex Maximus.
E per questo la separazione tra i due ambiti costituì una ferita insanabile per
i pagani.
Nel frattempo
nel grande organismo imperiale – e anche oltre i suoi confini – era nata
gradualmente un'altra realtà composta da uomini e donne, liberi e schiavi. Era
nato, per così dire, un altro popolo, non più politicamente e giuridicamente
organizzato, ma composto dall'insieme dei credenti in Cristo che costituiva una
comunità religiosa, che riconosceva la propria origine nella storia
dell'ebraismo, di cui il Primo (o Antico) Testamento era testimone, che seguiva
determinate regole morali, che aveva come propria guida la gerarchia
ecclesiastica, la quale tuttavia era considerata parte di quel corpo cui
apparteneva anche il più umile e semplice dei laici: «totus
populus unum sumus»[4]. Era un popolo, che si
percepiva come sovranazionale, non legato a etnie e neppure a specifici
confini: era il nuovo popolo cristiano. Anche perseguitato, nella sua gran
maggioranza (le eccezioni furono molto limitate e sporadiche) si mostrò leale
verso le autorità costituite, visse all'interno del tessuto sociale in cui si
trovava, pur prendendo nettamente le distanze da costumi e tradizioni nella
misura in cui le riteneva idolatriche o immorali, secondo la scala di valori
che era la sua. Di qui ebbe origine la polemica verso consuetudini differenti
(e la difesa delle proprie), che però, nella Grande Chiesa non trascese mai in
forme violente o anarchiche.
A questo
punto, quando gli imperatori cominciarono a proclamarsi pubblicamente
cristiani, ebbe inizio in Roma e nell'Impero romano una forma di regime mai sperimentata
fino ad allora. In tale senso il IV secolo si presenta come un ‘laboratorio’
che propone novità straordinariamente varie. E non mi riferisco a quella
attività giurisdizionale, in origine di carattere arbitrale, poi riconosciuta
al vescovo dal potere politico e civile, per la quale questi acquisisce
competenza non solo nel campo spirituale, ma anche in quello civile
(un'attività che comincia ad essere rispettivamente concessa ed esercitata
quando si consolida l'Impero-romano-cristiano e che avrà vita per secoli in
Oriente ancor più che in Occidente). Mi riferisco a quella distinzione fra regnum
e sacerdotium, tra istituzione
secolare e istituzione ecclesiastica, la cui origine si è ben presto
individuata nella parola evangelica del “dare a Cesare quello che è di Cesare
del dare a Dio quello che è di Dio”[5] (anche se
occorre dire che altre parole e altri eventi riferiti nel Nuovo Testamento
raccomandano un tale inedito rapporto tra autorità politica e autorità
religiosa). Si tratta di un ordine dualistico il quale vede in gioco elementi
che tra loro non dovrebbero essere opposti, ma complementari, mentre fin dal
Tardo-antico vi sono state non solamente tentazioni reciproche, ma vere e
proprie prevaricazioni dell'una o dell'altra parte, sempre negative[6]; un ordine
che per altro verso costituisce un elemento fondante della storia dell'umanità,
in grado di combattere e superare ogni teocrazia e ogni fondamentalismo
religioso[7]. In
ciò si manifesta la novità recata dal cristianesimo nelle cose della res publica.
Basti qui
avere in breve posto attenzione a quell'epoca in cui per la prima volta è stata
istituzionalizzata la distinzione tra Cesare e Dio in due realtà giuridiche e
politiche che, nel linguaggio a noi familiare, sono la Chiesa e lo Stato[8]. In questo
processo il populus è
stato insieme protagonista e spettatore di un tale mutamento epocale che ha segnato e segna ancora oggi la storia
della nostra civiltà occidentale.
[Un
evento culturale, in quanto ampiamente pubblicizzato in precedenza, rende
impossibile qualsiasi valutazione veramente anonima dei contributi ivi
presentati. Per questa ragione, gli scritti di questa parte della sezione
“Memorie” sono stati valutati “in chiaro” dal Comitato promotore del XXXVI
Seminario internazionale di studi storici “Da Roma alla Terza Roma”
(organizzato dall’Unità di ricerca
‘Giorgio La Pira’ del CNR e dall’Istituto di Storia Russa dell’Accademia delle Scienze di Russia, con
la collaborazione della ‘Sapienza’
Università di Roma, sul tema: MIGRAZIONI, IMPERO E CITTÀ DA ROMA A
COSTANTINOPOLI A MOSCA) e dalla direzione di Diritto @ Storia]
*
Già pubblicato in Index. Quaderni camerti
di studi romanistici. International Survey of Roman Law 44, 2016, 420-428.
[1] Cfr.
Hist. 72.4.
[2] Cfr. Vita Alex. Sev. 29.2 e 51.7.
[3] Cfr. Eusebio di Cesarea, Hist. eccles. VII.13; S. Mazzarino,
L'Impero romano, Roma 1973, vol. II, 528 ss.
[4] Cipriano, De dom. orat. 8.
[5] Mt 21.22; Mc 12-17; Lc 20-25.
[6] Cfr. P. Siniscalco, Il
cammino di Cristo nell'Impero romano, 3a ediz., Roma 2009, 210 ss.
[7] Cfr. G.
Miccoli, Chiesa cattolica e modernità. Atti del
Convegno della Fondazione M. Pellegrino,
a cura di F. Bolgiani-V. Ferrone-F. Margiotta Broglio, Bologna 2004, 169 s.
[8] Cfr. P.
Siniscalco, Alle radici della
nozione di laicità, in Laicità tra diritto e religione da Roma a
Costantinopoli a Mosca. Da Roma alla Terza Roma-Studi VII, Roma 2009, 6 ss.